La non ripetibilità delle spese sostenute da un coniuge in favore dei beni dell’altro. Secondo l’ordinanza n. 864/2023 della Cassazione, il coniuge che abbia sostenuto delle spese per apportare migliorie ad un bene legato al progetto di vita matrimoniale non ha diritto alla restituzione di quanto versato, indipendentemente dalla entità della spesa sopportata ed a prescindere dalla titolarità del bene.
Le spese sostenute durante il matrimonio sono ripetibili?
Nell’ordinanza del 13 gennaio 2023 n. 864, la Cassazione, anche se in modo quasi incidentale, torna sul tema della ripetibilità, dopo la separazione, delle spese sostenute da ciascuno dei coniugi durante la vita matrimoniale.
Più precisamente, la Cassazione ha avuto modo di chiarire se le spese sostenute per apportare migliorie ad un bene di esclusiva proprietà dell’altro coniuge possano o meno rientrare nell’ambito degli obblighi nascenti dal terzo comma dell’art. 143 c.c. (in base al quale: “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”). Ritenendo applicabile l’articolo 143 c.c., le suddette spese sarebbero da considerarsi irripetibili, in quanto sopportate in adempimento di uno specifico obbligo coniugale.
Le spese sostenute per le migliorie della casa familiare rientrano negli obblighi matrimoniali ex art. 143 c.c.?
Rilevata preliminarmente l’inammissibilità di alcune censure di parte ricorrente, la pronuncia in esame risolve la questione richiamando la precedente decisione n. 18744 del 2004, che aveva ad oggetto la richiesta di restituzione, da parte di uno dei coniugi, di spese sostenute per la ristrutturazione di una casa di villeggiatura. In quell’occasione, la Suprema Corte aveva affermato che “i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale“.
I “bisogni della famiglia” ex art. 143 c.c. non sono solo quelli primari
Più specificamente, la sentenza del 2004 aveva evidenziato che i “bisogni della famiglia” non si esauriscono solo in quelli “primari” e minimi (al di sotto dei quali, peraltro, verrebbe meno ogni ragione di comunione di vita). Una tale delimitazione, infatti, svuoterebbe “del tutto di significato la stessa tematica in sé dei bisogni di famiglia, precludendo la stessa astratta possibilità dell’esprimersi di quei momenti, atteggiamenti, sensibilità ed obblighi che si pongono al centro della logica sintetizzata dall’art. 143 c.c. Un tal tipo di ricostruzione dell’istituto normativo matrimoniale non trova riscontro alcuno né nei contenuti testuali di cui all’art. 143 c.c., né tanto meno nel più ampio contesto della disciplina del matrimonio, la quale non appare condizionata affatto, nella sua logica complessiva, dalla consistenza specifica del portafoglio dei patrimoni dei nubendi, né delinea statuti speciali per i coniugi particolarmente facoltosi“.
Alla predetta sentenza del 2004 si richiama anche la successiva pronuncia n. 10942 del 2015 nella quale, con riferimento a spese sostenute per migliorie della casa familiare, la Cassazione aveva rilevato che le opere di cui si chiedeva il rimborso erano in realtà finalizzate a rendere più confacente alle esigenze della famiglia l’abitazione messa a disposizione da uno dei coniugi (ed utilizzata per oltre un trentennio come casa comune); di conseguenza, tali spese non potevano essere oggetto di domanda di restituzione.
L’ordinanza in commento, quindi, si inserisce nella medesima prospettiva dei precedenti sopra citati, valorizzando il concetto di solidarietà coniugale, quale parametro a cui ancorare i limiti della nozione di “bisogni della famiglia”. In altre parole, nell’ambito dei rapporti tra i coniugi, il concetto di “bisogni della famiglia” è intrinsecamente legato alla rispondenza ad un progetto di vita comune, indipendentemente dalla entità della spesa e dal suo afferire ad un bene di proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi. Alla luce di ciò, la Cassazione ritiene che gli esborsi effettuati da uno dei coniugi in favore di un bene legato alla vita della coppia, benché di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, siano parte di quegli obblighi cui fa riferimento l’art. 143 c.c. e, pertanto, non debbano essere restituiti al coniuge che li ha anticipati.
E rispetto agli uniti civilmente ed ai conviventi di fatto?
Per quanto riguarda le unioni civili, è possibile giungere alle medesime conclusioni relative alle coppie coniugate. Infatti, l’articolo 1, comma 11, della Legge 76/2016, ricalca sostanzialmente il contenuto dell’articolo 143 c.c. (“Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni”).
Parzialmente diversa, invece, è la soluzione adottata dalla giurisprudenza per i conviventi di fatto. In relazione ai conviventi, infatti, le spese erogate durante la vita di coppia vengono sostanzialmente considerate come esecuzione di un dovere morale e/o sociale e, pertanto, vengono assoggettate alla disciplina delle obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c. (con conseguente irripetibilità delle prestazioni). Tuttavia, secondo la Cassazione, affinché possa effettivamente parlarsi di adempimento ad un dovere morale e sociale, devono sussistere “proporzionalità e adeguatezza” rispetto alle condizioni sociali e patrimoniali di chi ha effettuato il pagamento. Solo con questi presupposti, le spese sarebbero irripetibili.
In particolare, secondo la decisione della Cassazione n. 18721/2021: “Nell’ambito di una convivenza di fatto, il pagamento di una somma per la ristrutturazione dell’immobile adibito a casa familiare di proprietà dell’ex convivente, si configura come adempimento di un’obbligazione naturale quando la prestazione è contenuta nei limiti di proporzionalità ed adeguatezza rispetto alle condizioni sociali e patrimoniali di chi ha effettuato il pagamento. In tal caso dette somme non sono rimborsabili alla cessazione della convivenza”.
Questo articolo è stato redato dell’avvocato Valerio Crescenzi