Quando due genitori si separano, il giudice determina presso quale dei due il figlio risiede e il regime di visita e frequentazione del figlio con l’altro genitore. È in questo momento che emerge il c.d. diritto di visita, che è un’espressione del diritto del figlio minorenne alla piena bigenitorialità (artt. 315-bis e 337-ter, c. 1, c.c.; art. 24§3 Carta di Nizza. V. anche Cass., ord. 28723/2020; Cass., ord. 9764/2019; Corte EDU, Solarino c. Italia, 9.02.2017). Ma non è solo questo. È anche un aspetto del diritto-dovere di essere genitore e di assicurare assistenza morale e materiale alla prole (art. 30 Cost. e articoli già sopra citati), che ogni genitore deve assicurare all’altro. È sempre e comunque un diritto che si deve esercitare nell’interesse preminente del minorenne.
In questo contesto, il giudice regola visita e frequentazione del figlio minorenne con l’altro genitore, assicurando per quanto possibile un apporto paritetico dei due genitori (art. 337-ter c.c.). Attenzione, però: “paritetico” non vuol dire necessariamente “di ugual misura”, aggiunge la giurisprudenza (Cass., ord. 3652/2020; Cass., ord. 19323/2020): il bambino non è un pacchetto che può essere trasportato da una casa all’altra tutti i giorni, e deve essere assicurata una sua stabilità logistica.
Il diritto di visita è quindi un rapporto “triangolare”:
- È un diritto del figlio minorenne, se nel suo preminente interesse, la cui piena attuazione può essere pretesa nei confronti di entrambi i genitori; vuol dire che il figlio può ad esempio chiedere il risarcimento del danno al genitore che impedisce la frequentazione con l’altro genitore (Cass., sent. 8459/2020), o che lo trascura (Cass., ord. 11097/2020; Cass., sent. 5652/2012); e anche che il figlio è l’unico soggetto che è pienamente libero di decidere se esercitare questo diritto;
- È un diritto-dovere del genitore non collocatario: un’attività che deve esercitare in favore del figlio, se nel suo preminente interesse; e un diritto che non può essere impedito né forzato dall’altro genitore. Vuol dire che il genitore non collocatario che sia impedito nella frequentazione del figlio dall’altro genitore può chiedere il risarcimento del danno, ma che il genitore prevalentemente collocatario non può chiedere che l’altro genitore sia sanzionato per mancato esercizio del diritto di visita (C. Cost. ord. 145/2020);
- È un dovere del genitore collocatario, da esercitare nei limiti e in funzione dell’interesse preminente del figlio minorenne: deve garantire visita e frequentazione del figlio minorenne con l’altro genitore, in modo da non ledere il diritto alla bigenitorialità del figlio e da permettere all’altro genitore di esercitare pienamente i propri diritti-doveri (Cass., sent. 6919/2016; Cass., ord. 13217/2021). Sempre fintantoché tutto ciò sia nell’interesse preminente del figlio minorenne.
E quindi: cosa succede se il diritto di visita non viene esercitato, perché un genitore sostiene che il figlio minorenne non vuole vedere l’altro genitore? Si tratta di una situazione drammatica, e che deve essere valutata con estrema attenzione ed urgenza (e la riforma del processo di famiglia lo prevede espressamente: art. 1, c. 23, lett. b, l. 206/2021. Bisogna attendere i decreti attuativi per una disciplina espressa).
Il minorenne è certamente libero di esprimere il proprio pensiero e di formarsi una propria opinione (artt. 13 e 14 Conv. ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 20.11.1989, rate sec. L. 176/1991). Se quindi genuinamente ritiene per sé giusto di non voler frequentare l’altro genitore, questa posizione deve essere ascoltata ed essere presa in adeguata considerazione.
Si deve anzitutto comprendere se il pensiero e l’opinione del figlio siano effettivamente liberi, genuini e non determinati da condizionamenti esterni. È una valutazione delicatissima che deve essere eseguita da un soggetto terzo, altamente competente sul piano professionale ed umano, se i due genitori -come spesso accade- non sono in grado di farlo autonomamente, ascoltando il figlio minorenne, raccogliendone l’opinione, garantendone l’autenticità e la genuinità, e riportandola in tal modo al giudice. In questo caso, il compito spetta ad un curatore speciale, anche alla luce di eventuali Consulenze Tecniche d’Ufficio.
Si deve poi indagare il perché del rifiuto. La motivazione aiuta a comprendere se si tratti di un ostacolo superabile.
Ad esempio: potrebbe darsi che si tratti di una reazione del figlio per “punire” l’altro genitore di ciò che vive come un abbandono. In questo caso, il figlio minorenne dovrà essere accompagnato, con gli strumenti adeguati all’età, a superare questo rifiuto.
Ancora: potrebbe darsi che il figlio rifiuti la figura del genitore non convivente per fatti compiuti da questi. Escluse le ipotesi più gravi (ad esempio la violenza, anche assistita), per le quali quanto segue vale solo in parte, il percorso di recupero del rapporto dovrà riguardare
- il genitore, che deve comprendere il senso e la portata delle proprie azioni; e
- il figlio, che deve vedere il genitore che si mette in gioco per lui, e comprendere che i genitori non sono essere perfetti, ma fallibili, imparando ad accettarne anche i difetti.
Infine: il rifiuto potrebbe essere determinato dal comportamento del genitore prevalentemente convivente. In questo caso, il figlio minorenne dovrà essere accompagnato e tutelato nei confronti di questi, rispetto alla cui opinione ed influenza deve essere aiutato ad emanciparsi.
In tutti questi casi, il comportamento omissivo e commissivo di uno dei genitori dovrebbe condurre a significative conseguenze sia sul piano della corretta disciplina della responsabilità genitoriale e delle modalità di affidamento (v. ad es. Cass., ord. 21215/2017 e le già citate Cass., sent. 6919/2016 e Cass., ord. 13217/2021; cfr. Cass., ord. 28244/2019); sia sul piano dei rimedi, con attivazione eventualmente di quelli previsti dagli artt. 709-ter e 614-bis c.p.c., ad esempio tramite imposizione al genitore che impedisce la frequentazione del pagamento di una somma per ogni ostruzione al percorso; sia infine sul piano del risarcimento del danno, che potrebbe essere attivato sia dal figlio (tramite l’altro genitore o tramite suo curatore speciale) sia dall’altro genitore, ferma in ogni caso la necessità di provare condotta, danno e nesso causale (Cass., ord. 6518/2020).
Questo articolo è stato redato dall’avvocato Davide Piazzoni.