La pensione di reversibilità è una prestazione economica di natura previdenziale che decorre dal primo giorno del mese successivo al decesso di una persona (detta de cuius), in favore di soggetti predeterminati per legge, indipendentemente dalla data di presentazione della domanda.
Il beneficio può essere richiesto: 1) dai familiari tra cui il coniuge superstite e l’ex coniuge (quindi divorziato, non solo separato) titolare di assegno divorzile; 2) dai figli: se minori di 18 anni o studenti di scuole superiori di età compresa tra i 18 ed i 21 anni; studenti universitari non oltre i 26 anni di età; figli inabili senza limiti di età se a carico del genitore deceduto; 3) dai nipoti a carico del de cuius e minorenni; 4) dai genitori con età superiore ai 65 anni e non titolari di trattamento pensionistico se a carico del figlio deceduto; 5) infine dai fratelli non coniugati se inabili ed a carico del defunto.
L’importo della pensione di reversibilità è variabile sulla base della pensione percepita dal de cuius e dalla situazione familiare del beneficiario.
Sebbene ad un primo sguardo la normativa parrebbe di semplice applicazione, vi sono alcuni casi che richiedono un attento esame della situazione di fatto. Si fa riferimento al caso ricorrente di ripartizione del beneficio tra coniuge superstite ed ex coniuge titolare di assegno divorzile, i quali hanno entrambi diritto alla pensione di reversibilità. Difatti, in questo caso, i criteri che devono essere presi in considerazione non si esauriscono nel calcolo della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali, benché la legge divorzile faccia espresso riferimento solo a tale criterio: secondo la giurisprudenza concorrono infatti anche altri elementi per il raggiungimento della finalità previdenziale.
Un primo e datato orientamento –che si basava unicamente sull’interpretazione letterale dell’art. 9 della legge 898/1970- ravvisava quale unico criterio per la ripartizione della pensione di reversibilità il calcolo matematico della durata legale del matrimonio. La Corte costituzionale, con la sentenza 419/1999, mutò drasticamente tale impostazione introducendo ulteriori elementi. La finalità perseguita da tale impostazione è di evitare che l’ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita assicurato ad esso nel tempo dall’assegno di divorzio, e che il secondo coniuge non perda il tenore di vita garantito dal de cuius in vita.
La pronuncia della Corte costituzionale ha dato origine all’orientamento attualmente maggioritario, confermato anche da ultimo della Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza del 27.02.2020 n. 5290. Secondo tale orientamento la ripartizione della pensione di reversibilità fra l’ex coniuge e il coniuge superstite deve essere effettuata valutando non solo la durata dei due matrimoni, in cui debbono includersi peraltro anche le convivenze prematrimoniali, ma una serie ulteriori di elementi come le condizioni economiche delle parti e l’entità dell’assegno divorzile. Quest’ultimo è solamente uno dei fattori da considerare. La Cassazione ha fatto espresso riferimento agli elementi che devono esser presi in considerazione per la determinazione della pensione di reversibilità riconosciuta a un coniuge di cui all’art. 5 l. div. (Cass. Civ. n. 11226 del 10.05.2013):
- Affinché il coniuge divorziato possa beneficiare della pensione di reversibilità deve essere beneficiario di un assegno divorzile attuale al momento del decesso del de cuius. La prima sezione della Suprema Corte, con ordinanza n. 11453/2017, ha escluso il diritto alla reversibilità per il coniuge divorziato che ha ricevuto l’assegno di mantenimento una tantum (in un’unica soluzione) e non con cadenza mensile, in quanto si ritiene satisfattivo di qualsiasi obbligo ulteriore di sostentamento.
- L’unico soggetto obbligato alla corresponsione della pensione di reversibilità è l’ente erogatore; infatti, l’ex coniuge ha diritto di richiedere i ratei arretrati della quota parte di prestazione unicamente a questo e non anche al coniuge superstite che abbia percepito l’importo per intero: in tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione – sez. lavoro – con sentenza n. 22259 del 27.09.2013.
- Quanto alle quote di pensione del de cuius spettanti al coniuge sono: il 60% al coniuge senza figli, 80% al coniuge con un figlio, 100% al coniuge con due o più figli. Nel caso di figli senza coniuge, al figlio unico andrà il 60%, due figli 80%, tre o più figli 100%.
Deve esser inoltre ricordato che il diritto alla pensione di reversibilità ai superstiti non è vita natural durante; tale beneficio cessa se il coniuge contrae nuove nozze, se viene meno lo stato di inabilità di colui che percepisce la pensione, se i figli interrompono o terminano il percorso universitario, al compimento dei 26 anni di età dei figli studenti, ed infine nel caso in cui i fratelli si sposino o percepiscano altra pensione.
Alla luce dei criteri di ripartizione descritti è indispensabile una valutazione attenta della situazione concreta per applicare correttamente la normativa, che lascia all’ente un’ampia discrezionalità nella misura della prestazione da corrispondere, soprattutto nel caso di concorso tra coniuge superstite ed ex coniuge.
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